“To paraphrase several sages: Nobody can
think and hit someone at the same time.”
Susan Sontag, Regarding the Pain of Others

L’iperviolenza anarchica e surreale dei cartoni animati degli anni quaranta (Looney Tunes, Tom e Jerry e compagnia) può lasciarci allibiti: un prodotto per bambini in cui i personaggi tentano di uccidersi nei modi più fantasiosi e cruenti. Ma quegli scontri all’ultimo sangue (che in realtà non scorre mai, sublimato in stelline e uccellini cinguettanti) sono troppo estremi per essere presi sul serio, e poi si tratta pur sempre di animali disegnati. Pensate il mio sbalordimento, allora, nel vedere “The Rough House”, una comica del 1917 scritta, diretta e interpretata da Roscoe “Fatty” Arbuckle e Buster Keaton. Quella stessa violenza insensata e parossistica qua prende corpo (quello straripante di Arbuckle e quello da bacchetta che non si spezza di Buster), si sostanzia nella carne e nelle ossa, diventa molto più vera e sconcertante. I protagonisti si spaccano piatti e vassoi in testa, si lanciano (centrandosi in piena faccia) coltellacci da macellaio di quaranta centimetri, si versano caraffe di caffè bollente nei calzoni (il tutto incorniciato da una camera da letto che prende fuoco nella prima scena e da una sparatoria finale) e non sono disegnati, e non sono gatti topi conigli antropomorfizzati. Ma d’altronde abitano un mondo al di là di ogni ragione, in cui un giudice intima a due condannati (Keaton e Al St. John) di scegliere: o la prigione o diventare poliziotti.

Altri motivi per vederlo: le scene in cui Roscoe “Fatty” Arbuckle apparecchia la tavola e serve il brodo sono esilaranti.

Nota: a un certo punto Arbuckle si esibisce in una “danza dei panini”, che Chaplin riprenderà e renderà celebre qualche anno dopo.