L’iperviolenza anarchica e surreale dei cartoni animati degli anni quaranta (Looney Tunes, Tom e Jerry e compagnia) può lasciarci allibiti: un prodotto per bambini in cui i personaggi tentano di uccidersi nei modi più fantasiosi e cruenti. Ma quegli scontri all’ultimo sangue (che in realtà non scorre mai, sublimato in stelline e uccellini cinguettanti) sono troppo estremi per essere presi sul serio, e poi si tratta pur sempre di animali disegnati. Pensate il mio sbalordimento, allora, nel vedere “The Rough House”, una comica del 1917 scritta, diretta e interpretata da Roscoe “Fatty” Arbuckle e Buster Keaton. Quella stessa violenza insensata e parossistica qua prende corpo (quello straripante di Arbuckle e quello da bacchetta che non si spezza di Buster), si sostanzia nella carne e nelle ossa, diventa molto più vera e sconcertante. I protagonisti si spaccano piatti e vassoi in testa, si lanciano (centrandosi in piena faccia) coltellacci da macellaio di quaranta centimetri, si versano caraffe di caffè bollente nei calzoni (il tutto incorniciato da una camera da letto che prende fuoco nella prima scena e da una sparatoria finale) e non sono disegnati, e non sono gatti topi conigli antropomorfizzati. Ma d’altronde abitano un mondo al di là di ogni ragione, in cui un giudice intima a due condannati (Keaton e Al St. John) di scegliere: o la prigione o diventare poliziotti. Altri motivi per vederlo: le scene in cui Roscoe “Fatty” Arbuckle apparecchia la tavola e serve il brodo sono esilaranti. Nota: a un certo punto Arbuckle si esibisce in una “danza dei panini”, che Chaplin riprenderà e renderà celebre qualche anno dopo.“To paraphrase several sages: Nobody can
think and hit someone at the same time.”
― Susan Sontag, Regarding the Pain of Others
“I send a heart to all my dearies / When your life is so, so dreary / Dream”
Smashing Pumpkins, “Mayonaise” (Siamese Dream, 1993)
T’ho detto ti amo mille e una volta,
tu non ti giri. Per favore, ascolta!
T’ho detto ti amo una volta ancora,
non lo capisci, neppure ti sfiora.
Ti ho detto getèm, ti ho detto ailoviù,
solo silenzio, una volta di più.
L’ho detto più volte, da buon testardo.
Zero risposte, neanche uno sguardo.
Te l’ho scandito, l’ho detto di fretta:
neppure ti volti, non mi dai retta.
Per quaranta giorni e quaranta notti,
come quarantacinque giri rotti,
te l’ho detto settanta volte sette…
E togliti, cazzo, quelle cuffiette!
We have not the reverent feeling for the rainbow that the savage has, because we know how it is made. We have lost as much as we gained by prying into that matter.
Mark Twain, A Tramp Abroad (ch. xliii, 1880)
alla fine dell’
arcobaleno c’è sol-
tanto un altro no